Cos’è il Mindfulness Counseling

COS’È IL MINDFULNESS COUNSELING

Una relazione basata su ascolto, empatia, accoglienza e presenza consapevole

La relazione di ascolto e di aiuto del mindfulness counseling pone l’accento sulla qualità della relazione, dell’ascolto e della presenza, più che sulle tecniche e le metodologie, facendo in questo riferimento ai principi base della mindfulness. Essere, più che fare.

Ecco in sintesi alcune sue caratteristiche:

SI BASA SUL PRINCIPIO DELL’ASCOLTO ATTIVO

Questo tipo di ascolto rende possibile lo sviluppo dell’empatia, della gentilezza amorevole, del prendersi cura in modo compassionevole dell’altro. Non si tratta di capire, o analizzare la situazione del cliente, quanto di accompagnarlo in un processo di auto-esplorazione. Questo tipo di ascolto è lo stesso che si sperimenta durante una pratica di meditazione.

LA RELAZIONE È NON GIUDICANTE E NON DIRETTIVA

Non c’è direttività da parte del terapeuta, ma solo un affiancamento: il counselor prende il proprio cliente per mano e cammina al suo fianco (né avanti, né dietro). Insieme osservano e sentono la sofferenza e la accolgono, in uno spazio sicuro e privo di giudizio.

LA RELAZIONE È IN GRADO DI PORTARE ENTRAMBI IN UNO STATO DI COSCIENZA LIEVEMENTE ALTERATO

L’ascolto privo di giudizio porta la mente ad acquietarsi ed entrare in stati di coscienza alterati che hanno forti qualità curative. In questi stati, la mente diventa lucida, estremamente acuta. Questa è la calma pacificata che si sperimenta rimanendo ancorati al momento presente. Essere nel momento presente significa fluire, essere con ciò che è, in poche parole assecondare il continuo e incessante flusso della vita che i buddisti chiamano impermanenza. Riuscire a vivere questo cambiamento continuo senza alcuna resistenza, nell’ambito di una relazione sicura e amorevole, diventa la chiave di volta per agganciarsi alle proprie risorse e realizzare il proprio vero sé.

Stai attraversando un momento particolarmente difficile della tua vita

Devi compiere una scelta importante?

La tua relazione di coppia è arrivata a un punto di svolta?

Avverti la necessità di conoscerti più profondamente?

Hai voglia di contattare e mettere a frutto le tue risorse interiori per dare una svolta positiva alla tua vita?

Se la risposta a una o più di queste domande è sì, il Mindfulness Counseling può esserti di grande aiuto.

“Ascoltare significa capire ciò che l’altro NON dice.”
Carl Rogers

PERCHÈ INTRAPRENDERE UN PERCORSO DI MINDFULNESS COUNSELING

Il mindfulness counseling ti può essere d’aiuto se:

Stai attraversando un momento particolarmente difficile della tua vita

Devi prendere alcune scelte e ti senti bloccato

Hai perso il lavoro, oppure una relazione importante è giunta al termine

Senti il bisogno di conoscerti in modo più profondo

Vuoi imparare a gestire la tua sofferenza

Desideri focalizzarti sulle tue risorse

Vuoi portare un cambiamento positivo nella tua vita

Desideri affrontare le difficoltà con maggiore presenza mentale e serenità

La mia esperienza con il MINDFULNESS COUNSELING

Quando conobbi il counseling, stavo attraversando un periodo decisamente nero. Mi faceva male tutto, ma principalmente il cuore. Il mio ragazzo se n’era andato di casa una mattina, dopo più di tredici anni di convivenza e io mi sentivo come Cristo quando gli trafissero il costato.

O almeno credo. All’epoca non ero in grado di “sentire” il mio corpo, e nemmeno la mia anima, perché per anni mi ero esercitata a evitare il dolore in tutte le sue forme. Evitare era diventato così normale per me, che giudicavo chi lo faceva, senza nemmeno rendermi conto di essere io la prima a farlo.

Fino a quando non sbarcai a Pomaia, un piccolo paesino sperso in mezzo agli ulivi toscani.

Ero lì per iscrivermi alla scuola di Mindfulness Counseling sebbene di counseling sapessi veramente poco. Ciò che mi aveva spinto a scegliere quella scuola, oltre alla mia passione per la conoscenza dell’animo umano, era principalmente la mindfulness e il fatto che le lezioni si sarebbero tenute in un istituto Buddista, l’ILTK.

Pioveva a dirotto, quel giorno. Ero arrivata fino a lì, da Milano, con mille pensieri per la testa e la pancia piena di un misto di emozioni tra cui predominava la paura. Mi avevano detto che per accedere alla scuola avrei dovuto fare un colloquio con uno degli insegnanti.

Quando camminai attraverso l’arco che segna l’ingresso all’ILTK avvertii una strana sensazione. Una delle poche che negli anni mi ero esercitata a riconoscere, perché molto forte e di solito associata a eventi belli. Mi formicolavano le mani e sentivo una strana agitazione in corpo.

Mi fermai a osservare i giardini con gli stupa e notai che il rumore della pioggia sugli alberi mi stava calmando. Cosa mi avrebbe chiesto l’insegnante? Sarei riuscita a rispondere a tutte le sue domande? Mi agitai di nuovo e mi sembrò che tutti gli anni passati a studiare non sarebbero serviti a trovare risposte, perché all’improvviso realizzai che mi avrebbe chiesto di me. E io non ero pronta ad aprirmi.

Immaginai un colloquio formale, come tanti ne avevo fatti, seduti a una scrivania, con il rumore di una penna che annota i miei racconti. E analizza, giudica, dà dei punteggi. Sarei stata in grado di passare l’esame? Ma soprattutto, perché era tutta la vita che mi sembrava di dover sostenere degli esami anche se avevo finito l’università da un pezzo?

Immaginate il mio stupore quando Paolo, il mio futuro insegnante, mi condusse fino al Gompa di Chenrezig, una sorta di battistero coloratissimo in cui erano contenute le ceneri dei Maestri vissuti presso il centro. Mi fece sedere a terra davanti a lui e mi chiese se avessi voglia di meditare qualche istante prima di raccontargli di me.

“Tutto quello che hai raccontato è molto intenso,” mi disse a un certo punto, “deve essere stato molto doloroso, mi spiace, e mi sembra di percepire qualcosa in più, qualcosa di ancora più doloroso di cui mi parla il tuo corpo e che va oltre tutto quello che hai portato qui oggi…” A lasciarmi senza parole non fu tanto il fatto che avesse capito che gli avevo taciuto la parte più importante (e ahimè dolorosa) della storia, quanto il modo in cui lo disse.

Mi diede l’impressione che stesse provando quella mia stessa sofferenza e che la stesse considerando con grande umanità, senza alcun giudizio. Fu come aver appena ricevuto un grande abbraccio e fu una delle poche volte in vita mia in cui mi sentii del tutto accolta, compresa.

Mi venne da piangere. E io non ero una dal pianto facile, soprattutto davanti agli sconosciuti. Lo avevo conosciuto quel giorno stesso eppure fu come andare oltre quello che eravamo in quel momento, come se fossimo diventati per un momento una cosa sola.

Per tutta la vita mi ero giudicata inadeguata, incapace, anziché una persona con alcune sofferenze, ma altrettante risorse, insomma non ero mai riuscita ad accogliermi per quella che ero.

rabbia

Lì invece sperimentai la possibilità di guardare la mia sofferenza senza giudicarmi, o sentirmi giudicata, colpevole. Ebbi la possibilità di sporgermi per un attimo verso al cratere pieno di lava sentendomi del tutto protetta. Mi sentii compresa al di là delle parole. Compresa molto profondamente, in un modo che cambiò totalmente la mia visione della vita.

Non so cosa accadde, ma so che quella notte dormii come non dormivo da mesi. Mi svegliai più leggera. Volevo coltivare quelle qualità, questa era la relazione d’aiuto in cui volevo mettermi, la strada che mi sarebbe piaciuto seguire, quello che avrei voluto portare alle persone in dono.

Volevo potermi ascoltare senza giudizio e con compassione, proprio come aveva fatto Paolo. Prendermi cura di me con gentilezza e attenzione. Ricucire la mia anima per poter aiutare altri a ricucire la propria.

Vipassana

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“Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere.”
Dalai Lama